This paper examines Bo and Sciascia’s attitude to Montaigne. Both authors recognize the movement, doubt and uncertainty of life in Montaigne’s writings. Dostoevsky mediates in Bo's relationship with Montaigne. Bo emphasizes the image of man multiplied ad infinitum and as a manager of absurdity. On the other hand, to defend himself from accusations of inactive scepticism, Sciascia appeals to Montaignian scepticism.
L’attenzione per Montaigne da parte di Bo e Sciascia apre su versanti filosofici che congiungono la filosofia (e la letteratura) alla vita intesa come movimento, dubbio, incertezza – ma non perdita della speranza nel soggetto, il cui impegno etico trova la sua espressione laica nell’elogio, quasi carnale, della lettura e del lettore, in quanto consustanziali al senso e alla direzione dell’eticità del vivere. Nell’opera di Bo, il punto di congiunzione a Montaigne è mediato da Dostoevskij, il libro di Giobbe, del male, della corruzione: l’uomo dilaniato, scarnificato dai dubbi, moltiplicato all’infinito, è diventato «il grande gestore dell’assurdo», le magistrat sans juridiction e le badin de la farce. Sciascia per difendersi dall’accusa di «scetticismo inattivo» si appella allo scetticismo montaignano, con cui si era già misurato direttamente nel suo commento, di indiscutibile spessore antropologico e filosofico, al saggio Des boiteux legandolo al Teatro della memoria e al dispiegamento dei suoi inganni. Sotto il segno dello scetticismo «attivo» montaignano (l’esercizio del dubbio è già un fare), nasce e si orienta la sua attenzione per il concetto di «certezza» a uso giudiziario e la sua critica alla pena di morte, considerata «delitto ‘estremo’» della certezza.
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