Il saggio si apre con una precisazione, in garbata polemica con Stella Rudolph, la nota specialista del Maratta, sulla proprietà del nome del maestro marchigiano che nelle fonti e negli atti ufficiali compare come Carlo Maratti, acquisendo solo nel suo soggiorno romano l’appellativo di “Maratta”. La ricerca verte poi sostanzialmente sul tema delle repliche, varianti e copie, che danno vita a dipinti con modifiche rispetto agli originali. L’autore elenca numerosi casi tra cui le varianti del piccolo dipinto dell’“Adorazione dei Pastori” del Quirinale e le versioni di Diana e Atteone dal prototipo di Dughet per i Colonna. A volte il maestro riutilizza singole figure riprese da modelli poi rielaborati in diversi contesti, come ad esempio la positura della nutrice nella “Visitazione” di S. Maria della Pace trasferita nelle varie versioni della “Madonna che allatta il Bambino”. Spesso le repliche sono opera di bottega, nate come esercitazioni o per far fronte alle numerose richieste dei committenti, senza tuttavia escludere in qualche caso, l’intervento diretto del maestro, come nel “San Pietro che battezza il centurione” di Andrea Procaccini eseguito per S. Pietro e oggi a Urbino, il cui bozzetto mostra una qualità riconducibile al Maratta. Nuove acquisizioni al catalogo marattesco sono poi proposte dall’autore che si sofferma su numerosi dipinti come il “Bacco e Arianna” comparso da Sotheby’s nel 2001, e l’“Angelo custode” del Museo di Nantes, un’“Incoronazione di spine” battuta da Christie’s nel 2006, un’“Orazione nell’Orto” già di proprietà del restauratore Maranzi, e molti altri.
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