I migranti mostrano condizioni di salute mediamente peggiori dei nati in Svezia, sia nel campo della salute mentale che fisica. In particolare, rispetto alle donne svedesi, le donne straniere hanno più frequentemente varie forme di disturbi riproduttivi. Gli studi esistenti mostrano che nel sistema sanitario svedese le minoranze etniche godono di pari diritti e ricevono equità di trattamento. Eppure, poco si sa in che misura le loro esigenze siano effettivamente accolte, quali siano le barriere di accesso, e quale sia la situazione specifica delle donne. Attingendo dai dati esistenti e dai seminari condotti con gli esperti e le parti interessate del terzo settore e del pubblico, troviamo che queste disuguaglianze di salute hanno radici più strutturali e culturali che istituzionali. La Svezia è sicuramente un paese in cui i diritti delle donne appartenenti a minoranze etniche e l’accesso alle cure sono estesi e sono stati perseguiti seguendo un approccio multiculturale e bottom-up. La ragione per cui le donne appartenenti a minoranze etniche esprimono bisogni più insoddisfatti e riportano meno continuità nelle cure rispetto alle donne nate in Svezia sembrano prevalentemente risiedere in forme persistenti di “mismatch culturale”. Come le buone pratiche selezionate mettono in luce, stili di vita più sani e un più efficace accesso ai servizi possono essere promossi attraverso un contatto migliore con le famiglie e le comunità e una più adeguata formazione sia per gli operatori sanitari che per i migranti, per promuovere l’informazione sanitaria e per comprendere e levigare le loro diffidenze.
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