Durante il periodo repubblicano l'elite romana era sempre più propensa a spendere risorse per scopi stravaganti. La legislazione contro il lusso tenne passo con questa tendenza, in particolare dal II secolo a.C. in poi. Le leges sumptuariae prendevano di mira abiti e gioielleria femminile, banchetti e funerali. Critica da posizioni moralistiche fu rivolta anche alle costruzioni private fuori della norma. Nelle leggi non si fa però mai menzione di aqua, anche se enormi quantità ne furono condotte agli abitanti di Roma e in altri luoghi. Questo contributo analizza il ruolo dell'acqua nel contesto della luxuria romana. Un primo segno di critica contro l'uso eccessivo d'acqua s'incontra in un testo di Varrone. Ciononostante l'uso dell'acqua non divenne mai parte del discorso sul luxus, come lo furono invece i banchetti e i palazzi lussuosi, perché i sistemi di rifornimento urbano non erano ancora sufficientemente sviluppati durante la tarda Repubblica, quando gli elementi del discorso sul luxus furono stabiliti. Più tardi, durante il Principato, i potenti Romani che usarono ingenti quantità d'acqua nei loro horti usufruivano di un permesso dell'imperatore. Era quindi impossibile criticare la loro prassi. Le thermae offrivano l'unico spunto per una critica, perché il concetto moralistico di mollitia poteva essere applicato alla cultura balneare
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