The knowledge economy is characterised by the prevalence of services as a share of GDP in a specific system, by the increase in the production within the system of companies of a new form of applied knowledge compared to traditional forms, and by the growth in information and communications technology as a means for reorganising labour and market relations and for the control of organisational systems. The rise of the knowledge economy leads to a redefinition of organisational forms and labour relations. The growth in competition and the flexibility of the new organisational forms provides opportunities for individual mobility in the labour market but also increases the degree of insecurity and the level of risk. In the author’s view, the culture of mobility and risk reflects an open society, not defined by hierarchies and status, with a tendency to reward differences and to lead to solutions arising out of uncertainty and competition. Moreover, a situation of permanent uncertainty and ambiguity – accompanied by the risk of failure that is naturally associated with mobility – makes it difficult for individuals to construct a social and professional identity and to devise an overall life plan. The ambivalence of the risk society is reflected in the transition from full-time and open-ended “work” – typical of industrial society – to “jobs”, characterised by the professional nature of the activities that are productive in an indirect way, that are better in terms of content and employability but worse in terms of protection. This type of economy also gives rise to a need on the part of companies to devise specific arrangements, reflected also in employment contracts, that make it possible to strike a balance between the essential needs of various categories of workers (stable categories, dealing with core activities, and flexible categories, carrying out peripheral activities with a low level of specialisation, that can easily be replaced by means of outsourcing). In relation to the full-time and open-ended model of employment, the author highlights the difficulty of regulating labour relations in conditions of uncertainty, and notes that today this is sometimes dealt with by companies with the introduction of agency work by which employers delegate discretional power to act in their interests to an agency that chooses the most appropriate means for achieving the objectives set by the user company. The author also underlines the opportunity (introduced by Act No.
196/97, and above all, promoted by Act No. 30/2003 and the related implementing decree) to utilise, alongside the traditional full-time and open-ended employment contract, numerous types of employment contracts. However, this innovation gives rise to the problem of defining the criteria for selecting one type of employment contract rather than another.
L’ economia della conoscenza si caratterizzata per il peso prevalente assunto dai servizi nella composizione del PIL di uno specifico sistema economico, per la produzione crescente all’interno delle imprese di una nuova forma di conoscenza applicata rispetto a quella tradizionale e per lo sviluppo della tecnologia delle informazioni quale strumento di riorganizzazione delle relazioni di lavoro e di mercato e di controllo dei sistemi organizzativi. L’affermarsi della economia della conoscenza determina una ridefinizione delle forme organizzative e delle relazioni di lavoro. La competizione crescente e la flessibilità delle nuove forme organizzative accrescono le opportunità di mobilità individuale nel mercato del lavoro ma aumentano l’insicurezza ed il rischio. La cultura della mobilità e del rischio, argomenta l’A., riflette una società aperta, senza gerarchie e status, pronta a valorizzare le differenze e ad esprimere soluzioni che nascono dall’incertezza e dal confronto; per altro verso una perenne situazione di incertezza ed ambiguità – accompagnata dal rischio del fallimento naturalmente connesso con la mobilità – rendono difficile per l’individuo costruire la propria identità professionale e sociale ed il consolidare il proprio progetto di vita. L’ambivalenza della società del rischio è ben riflessa dalla transazione dal “lavoro” a tempo pieno ed indeterminato – tipico della società industriale – ai “lavori”, qualificati dalla professionalizzazione delle attività indirettamente produttive, migliori nei contenuti e nell’impiegabilità ma peggiori nella tutela. Tale economia suppone altresì l’esigenza delle imprese di sviluppare specifiche formule, riflesse anche nei contratti di lavoro, che rendono compatibili la situazione e i bisogni vitali di varie e diversificate categorie di lavoratori (quelli stabili, che presiedono le attività centrali e quelli flessibili, che svolgono attività periferiche a bassa qualificazione, facilmente sostituibili con i processi di esternalizzazione). L’A. evidenzia rispetto al modello di lavoro a tempo pieno ed indeterminato l’incapacità a regolare la relazione di lavoro svolta in condizioni di incertezza e aggiunge che tale incapacità è oggi talvolta superata dalle imprese attraverso l’introduzione della relazione di agenzia attraverso la quale il datore di lavoro delega il potere discrezionale di agire nel proprio interesse all’agente che sceglie e valuta poi i comportamenti più opportuni per realizzare al meglio l’interesse del preponente. L’A. sottolinea l’ulteriore opportunità (introdotta con la l. n. 196/1997 e, soprattutto, valorizzata dalla l. n. 30/2003 e dal relativo decreto attuativo) di utilizzare, oltre al tradizionale contratto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato numerose tipologie contrattuali. Una opportunità che solleva però il problema di definire i criteri di convenienza da seguire nella scelta di un tipo di contratto piuttosto che di un altro.
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