With the decision of 8 November 2016, the Court of Justice of the European Union (Grand Chamber), in the criminal proceedings against Ognyanov, held that Art. 17, paragraphs 1 and 2 of Council Framework Decision 2008/909 / JHA of 27 November 2008 on the application of the principle of mutual recognition of judgments in criminal matters imposing sentences or measures involving deprivation of liberty for the purpose of their enforcement in the European Union, as amended by Council Framework Decision 2009/299 / JHA of 26 February 2009, must be interpreted as precluding a national rule being interpreted in such a way that it permits the executing State to grant to the sentenced person a reduction in sentence by reason of work he carried out during the period of his detention in the issuing State, although such reduction wasn't granted by the competent authorities of the issuing State, in accordance with the law of the issuing State. The European Union law must be interpreted as meaning that a national court is required to take into account the provisions of domestic law as a whole and to interpret them as far as possible, in accordance with Framework Decision 2008/909, as amended by Framework Decision 2009/299, in order to achieve the result pursued by it, setting aside, if necessary, on its own initiative, the interpretation adopted by the national court of last instance, where that interpretation is not compatible with EU law. According to the Author is not persuasive interpretation, because the Court invoked, in the present case, perhaps inopportunely, the primacy of EU law over national law more favorable.
Con la decisione dell’8 novembre 2016, la Corte di Giustizia (Grande Sezione), nel procedimento penale a carico di Ognyanov, ha ritenuto che l’art. 17, commi 1 e 2 della decisione quadro 2008/909 / GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea, come modificata dalla decisione quadro 2009/299 / GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere inteso nel senso che esso osta a una norma nazionale interpretata in modo tale da autorizzare lo Stato di esecuzione a concedere alla persona condannata una riduzione di pena a motivo del lavoro da essa svolto durante la sua detenzione nello Stato di emissione, quando le autorità competenti di quest’ultimo Stato, conformemente al diritto dello stesso, non hanno riconosciuto siffatto beneficio. Il diritto dell’Unione – ha affermato ancora la Corte – deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme del diritto interno nel loro complesso e a interpretarle, quanto più possibile, conformemente alla decisione quadro 2008/909, al fine di conseguire il risultato da essa perseguito, disapplicando, ove necessario, di propria iniziativa, l’interpretazione accolta dal giudice nazionale di ultima istanza, allorché la stessa non risulta compatibile con la legislazione europea. Secondo l’Autrice l’interpretazione adottata dalla Corte di Lussemburgo non appare convincente. Non ravvisandosi un contrasto tra le normative, i giudici europei, nel caso di specie, avrebbero, infatti, inopportunamente, invocato il primato del diritto dell’Unione sul diritto interno più favorevole.
© 2001-2024 Fundación Dialnet · Todos los derechos reservados