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Resumen de Uccidere in guerra: alla ricerca di un fondamento di legittimità

Albin Eser

  • italiano

    Il carattere di ovvietà dell'uccisione in guerra potrebbe avere origine nell'assunto secondo cui, come afferma Thomas Hobbes, "in tempi di guerra tutte le leggi tacciono". Sebbene questa tradizionale facoltà di sospendere le leggi durante un conflitto bellico sia stata in parte delimitata dal diritto internazionale umanitario moderno, è ancor'oggi opinione comune ritenere che uccidere in guerra, a meno che e fintanto che non sia esplicitamente vietato, sia di per sé consentito, non risultando qµindi necessario fornire alcuna legittimazione ulteriore. Si delinea così una netta contrapposizione con l'omicidio "ordinario", che esige invece una particolare causa di giustificazione per escludere l'antigiuridicità. Questa licenza di uccidere, comunemente non messa in discussione a causa della mera contingenza di versare in una situazione di belligeranza, stupisce ulteriormente se si considera che non è possibile rintracciare nessuna norma giuridica che positivamente ed esplicitamente dichiari lecito uccidere in guerra. Tuttavia, quale può essere il fondamento di un simile privilegio non scritto? In che modo esso può essere giustificato moralmente e trovare sufficiente legittimazione? La questione sarà approfondita analizzando quattro prospettive diverse: in primo luogo, bisogna chiedersi se e perché uccidere in guerra, purché non si oltrepassi la soglia dei crimini di guerra, debba rimanere al di fuori dell'area del diritto penale. In secondo luogo, non avendo ottenuto una risposta soddisfacente, si dovrà valutare se e in che misura il diritto costituzionale possa autorizzare ma allo stesso tempo circoscrivere l'uccisione in guerra. Poiché nemmeno in questo caso si otterranno risposte esaustive, ci si potrebbe rivolgere, infine, al diritto internazionale, ponendo particolare attenzione alla questione della sovranità statale. Siccome anche a questo livello l' uccisione in guerra non troverà un fondamento di legittimità convincente, sarà necessario affrontare ulteriori sfide.

  • English

    Killing in war as a matter of course may be inferred from the fact that, as stated by Thomas Hobbes, "all laws are silent in the time of war". Although this traditional law suspending power of war has been restricted to a certain degree by modem humanitarian international law, it is still commonly assumed that killing in war, unless and as long as not explicitly forbidden, is per se permitted and thus does not require any further legitimisation. This is in fundamental contrast to a "normai" homicide, which requires special justification to be considered lawful. This commonly unquestioned license to kill, by the mere reason of being at war, is ali the more astonishing given that no legai norm can be found that positively and explicitly declares killing in war to be lawful. However, on what ground can such an unwritter,, privilege be based? How can it be morally justified and sufficiently legitimised? This question shall be pursued in four steps: by, first, asking whether and why killing in war, as long as it does not cross the threshold of a war crime, shall stay outside the rubric of criminal law. After not having found a satisfactory answer, it must, second, be asked whether and to what degree constitutional law could provide empowerments and restrictions of killing in war. As neither will give full answers, third, final refuge may be taken in international law, with particular attention to state sovereignty. Since even on this level, however, killing in war has not yet found convincing legitimisation, fourth, further challenges are to be met.


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