Why, in 2018, i.e. 70 years after the Italian Constitution entered into force, did the Legislator still feel the need to solemnly state the obvious, namely that detainees retain all those fundamental rights that are compatible with the condition of individual freedom restrictions? In an attempt to find an answer to this question, this paper analyses a collective prejudice, rooted both in the social and legal memory, which has already been pointed out by outstanding scholars at the beginning of the new millennium, but is still affecting the approach taken when tackling issues concerning the definition of the detainee's legal status.
Perché, nel 2018, a settant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione, il Legislatore avverte ancora la necessità di affermare, solennemente, una ovvietà, vale a dire che le persone detenute conservano la titolarità di tutti quei diritti fondamentali che risultano compatibili con la condizione di restrizione della libertà? Nel tentativo di trovare una risposta a questo interrogativo, il contributo ritorna ad analizzare un pregiudizio collettivo, radicato nella memoria sociale (anche in quella giuridica) e già rilevato da autorevole dottrina all'inizio del nuovo millennio, pregiudizio che, ancora oggi, influenza l'approccio alle tematiche connesse alla definizione dello statuto giuridico della persona detenuta.
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