Francesc Alegre’s prologue to his commentary on Ovid’s Metamorphoses (Barcelona 1494) suggests that Catalan writers probably responsible for building the foundation for a Renaissance Poetics in the Iberian Peninsula (Alcina 1999). Francesc Alegre attempted to define poetry, narrative, and allegory. His definition of poetry makes clear the connection between the poetic and creative processes (“fer és traure de una altra cosa en ésser, com totes les sciencies de propi subjecte traen les regles lurs, e crear és de no res traure la cosa en ésser, com fan tots los poetes, component les grans invencions, sens alguna doctrina, trobades o creades en lur subtil entendre”). The importance of these assertions was not adequately perceived at the time and Catalan Poetics was later readapted or absorbed into a Castilian one. As an example, in Baltasar de Romaní’s edition-translation of the poetry of Ausiàs March (Valencia, 1539), imaginar (to imagine) was repeatedly translated as contemplar (to contemplate).
La lettura del prologo di Francesc Alegre al commento alle Metamorfosi di Ovidio (Barcellona 1494) consente di confermare l’impressione che probabilmente siano proprio i catalani a creare i presupposti per una poetica rinascimentale nella penisola iberica (Alcina 1999). Francesc Alegre, infatti, cerca di definire poesia, favola e allegoria. Se la “poesia és una fervor de exquisitament trobar guiant la fantasia en ornadament escriure lo que haurà trobat” è un’affermazione collegata al significato del verbo creare, gli si potrebbe riconoscere il merito di essere il primo autore iberico a interrogarsi su quello che potrebbe costituire il fulcro di questa attività, secondo criteri nuovi: “Fer és traure de una altra cosa en ésser, com totes les sciencies de propi subjecte traen les regles lurs, e crear és de no res traure la cosa en ésser, com fan tots los poetes, component les grans invencions, sens alguna doctrina, trobades o creades en lur subtil entendre”. L’importanza di queste affermazioni non fu percepita adeguatamente e la poetica catalana in nuce nel suo discorso e in tutto quello a cui esso si può collegare, finì per essere travolta o assorbita in una poetica castigliana, che forse non riuscì a far maturare appieno i frutti nel senso che prometteva. Come esemplificazione di quanto affermato viene mostrato come nell’edizione-traduzione di Baltasar de Romaní, pubblicata a Valencia nel 1539, l’imaginar di Ausiàs March viene reso in più di un’occasione in un regressivo contemplar.
© 2001-2025 Fundación Dialnet · Todos los derechos reservados