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Gli economisti contro le tutele del mercato del lavoro: dalla deregolazione alla flexicurité

  • Autores: Jérôme Gautié
  • Localización: Diritto delle relazioni industriali: rivista della Associazione lavoro e riceche, ISSN 1121-8762, Vol. 15, Nº. 1, 2005, págs. 5-22
  • Idioma: italiano
  • Títulos paralelos:
    • Economists and labour market protection: from deregulation to flexicurity
  • Texto completo no disponible (Saber más ...)
  • Resumen
    • English

      This paper takes as its starting point the widespread view that (continental) Europe suffers from labour market regulations that are too rigid, with harmful effects for employment, and examines the position of the Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), that has moved from proposing a straightforward deregulation of the market to an arrangement that strikes a more favourable balance between “flexibility” and “security”, that is, “flexicurity”. In addition the paper provides an assessment of the attempts to compare the level of employment protection based on a general indicator, devised by the OECD, in relation to the regulation of three areas: individual dismissals, collective redundancies, and temporary work. The paper argues that the available criteria for the classification of employment protection are too problematic to enable us to resolve the issues in the debate, and for this reason they cannot be used as a means to assess structural reforms of the labour market. Moreover, when a comparison is made of the level of employment protection and the level of unemployment in the various countries, the survey results provide no evidence of a direct correlation between the two factors. It is pointed out in the paper that the perceived level of security in countries where employment protection is strong, such as France (with a figure of 54%) and Italy (53%) is the same as (or a little lower than) in a country with a flexible labour market, such as the United Kingdom (57%). In the recent OECD report, the Danish model is cited as an example of labour market protection. Denmark provides for individual action plans, during the first six months or year of unemployment in which unemployed people are expected to take part in “active” employment schemes (training, subsidised employment in the public or private sector), and a refusal on the part of the out-of-work person can lead to a suspension of unemployment benefit. A flexible labour market, a low unemployment rate, workers who are prepared to be mobile and adaptable, assisted transition with a high degree of support, an active employment policy and lifelong training: from this analysis it is clear why Denmark is indicated as a model, though it enjoys more favourable conditions than larger countries. In Denmark the initial level of education and training of the active population is high, facilitating adaptability to lifelong learning

    • italiano

      Il presente studio prende come punto di partenza la diffusa opinione secondo cui l’Europa (continentale) risentirebbe di ordinamenti del lavoro troppo rigidi che nocerebbero allo sviluppo e all’impiego, e prende in esame la posizione dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che passa dalla proposta di una semplice deregolamentazione del mercato ad una soluzione che sviluppa un miglior raccordo tra “flessibilità” e “sicurezza” ovvero la flexicurité. Vengono valutati inoltre i tentativi di mettere a confronto il livello di protezione dell’impiego che si basa su un indicatore generale, codificato dall’OCSE, che investe tre settori: la disciplina del licenziamento individuale, la disciplina del licenziamento collettivo, e la disciplina dei contratti di lavoro temporaneo. Si arriva alla conclusione che i gradi di classificazione della protezione dell’impiego di cui disponiamo sono troppo lacunosi per appianare il dibattito sulla riforma e pertanto non possono essere utilizzati come strumenti di controllo delle riforme strutturali del mercato del lavoro. Inoltre, quando si confronta il grado di tutela dell’impiego dei diversi Paesi con il loro tasso di disoccupazione, non emerge chiaramente una relazione tra i due valori. Difatti è interessante osservare che la percezione di sicurezza nei Paesi dove la protezione dell’impiego è forte, come la Francia (punteggio del 54%) o l’Italia (53%), è dello stesso grado (e addirittura leggermente inferiore) di quella in un Paese dove il mercato del lavoro è flessibile, come il Regno Unito (57%). In un confronto internazionale, il modello danese è citato come esempio dal recente rapporto dell’OCSE in materia di protezione di impiego. In Danimarca, in un quadro che prospetta piani d’azione individuali, durante i primi sei mesi o il primo anno di disoccupazione i soggetti disoccupati sono tenuti ad entrare in misure “attive” (formazione, impieghi sovvenzionati all’interno del settore pubblico o privato), e un rifiuto da parte del disoccupato può comportare una sospensione dell’indennità. Un mercato del lavoro flessibile, un tasso di disoccupazione basso, dei lavoratori disposti alla mobilità e adattabili (agli ambienti lavorativi), delle transizioni assicurate da una previdenza sociale elevata, una politica dell’impiego molto attiva e una formazione durante tutto l’arco della vita: dall’analisi risulta chiaro come la Danimarca potrebbe essere presa a modello, anche se presenta delle condizioni più favorevoli rispetto ad altri Paesi di dimensioni maggiori. Viene sottolineato che il livello della formazione iniziale della popolazione attiva è molto elevato in Danimarca, un dato che facilita l’adattabilità alla formazione lungo tutto l’arco della vita.


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